Industria 5.0: è oggi?
Parliamo da qualche anno di industria 4.0, ma non è forse in corso una nuova rivoluzione?
Dall’industria 1.0 delle macchine a vapore della fine del XVIII secolo ad oggi ne abbiamo fatta di strada. In particolare è curioso notare come da una rivoluzione industriale all’altra i tempi si siano ridotti notevolmente. Quasi un secolo è dovuto passare dall’uso del vapore all’uso dell’elettricità (industria 2.0), poi un altro secolo per l’arrivo dell’informatica (industria 3.0) e poi dopo soli 40 anni eccoci già all’industria 4.0: che combina tecnologie diverse per favorire una produzione industriale automatizzata e interconnessa. Già da qualche anno (meno di 10 anni dall’ultimo cambiamento) però il concetto di industria è in una nuova fase di stravolgimento: si è iniziato a parlare di digital transformation, smart working, aggiornamento delle competenze digitali dei dipendenti, ambienti di lavoro digital friendly. Si è iniziato a delineare quello che era stato definito il future workplace. Oggi, complice anche la pandemia che ci ha spinto a cambiamenti repentini e inattesi, si inizia a parlare di industria 5.0: quella basata sulla cooperazione tra uomo e macchina, intesa come intelligenza artificiale a beneficio e supporto dell’essere umano.
È proprio questo il principale elemento di distinzione tra l’industria 4.0 e la 5.0: l’approccio human centric. Non si può infatti prescindere dall’uomo, bisogna trasformare le tecnologie in tecnologie della libertà e non del controllo (Rodotà). Il punto focale è, dunque, quello di sfruttare la potenza e la capacità delle macchine dietro la supervisione della mente umana, garantendo così il valore aggiunto di un’alta produzione fortemente personalizzata e aderente ai gusti e alle necessità del consumatore finale. È, in poche parole, il combinarsi di creatività (umana) ed efficienza (robotica).
Nell’Industria 5.0 i robot verranno adibiti sempre più a lavori pesanti, ripetitivi e pericolosi (cosiddetti lavori in 3D: dull, dirty and dangerous), permettendo ai lavoratori di dedicarsi agli aspetti più creativi, di concetto e di governance, assicurando di riflesso benefici in termini di salute, sicurezza sul lavoro e soddisfazione personale. Si dovrà, pertanto, immaginare e creare un nuovo modello lavorativo, una collaborative industry, dove l’uomo e il robot integreranno ciascuno le proprie abilità e competenze in favore di uno spazio di lavoro condiviso e più efficiente. E ciò sarà possibile proprio grazie ai cobot, ossia robot collaborativi dotati di intelligenze artificiali e programmati per interagire con gli esseri umani. I livelli di collaborazione potranno essere i più disparati, dal “confinamento del robot”, alla coesistenza (in cui non c’è un confinamento della macchina), alla collaborazione sequenziale (in cui i movimenti uomo-robot sono sequenziali), alla cooperazione (entrambi in movimento nello stesso spazio fisico), per finire con la collaborazione reattiva (in cui il robot risponde in tempo reale ai movimenti del lavoratore). Per bot o software robot, invece, non si intendono robot fisici, ma programmi software intelligenti caratterizzati dall’essere in grado di operare in favore di un altro utente o programma, mediante un sistema di scambio reciproco.
Se, da un lato, la nuova rivoluzione Industria 5.0 porta con sé grandi opportunità e potenzialità, dall’altro richiede necessariamente un alto livello di attenzione alle sempre calde tematiche della sicurezza, del rischio e dei profili di responsabilità. Oltre ai rischi prettamente fisici, sono da valutare anche – e soprattutto – quelli informatici, legati al comando a distanza, alla cybersicurezza e ai cyber-attacchi, alla manutenzione, alla messa in sicurezza dei dati personali e delle informazioni, così come le ricadute in ambito di danni, titolarità delle responsabilità o mancanza di trasparenza degli algoritmi.
Quando siamo dentro qualcosa è sempre difficile delinearne i confini. Soprattutto quando si tratta di rivoluzioni che impattano poco a poco una grande varietà di ambiti, toccando da vicino la vita di migliaia di persone. Certamente la pandemia ha accelerato alcuni processi che forse non si manterranno nel post-emergenza, ma analizzando la situazione odierna: non stiamo già, almeno in parte, lavorando nell’industria 5.0?